La città delle rose e La leggenda del Nodo d'Amore
La città delle rose
In base ad alcune leggende popolari il nome Rovigo deriva da Rhodon, le rose che anticamente in queste zone sbocciavano spontaneamente. Si crede che la colonizzazione del Polesine sia da attribuire ai Greci, infatti il compagno nella guerra di Troia di Ulisse, Diomede, assieme al suo equipaggio fu il primo a scoprire Adria, che in quel periodo era sul mare. È proprio in questa città, attorno al Mille, che il vescovo Paolo Cattaneo prese la decisione di trasferire la sede vescovile a Rovigo.
Il vescovo, indeciso sul luogo dove condurre la sua gente vittima dell’ira degli Ungari, vide in sogno San Pietro che gli diede un meraviglioso pastorale cosparso di profumate rose rosse fiorite. Proprio per questo fu Rovigo l’obiettivo della loro peregrinazione. Il vescovo Paolo Cattanero decise di trasferire il suo popolo e ordinò la costruzione di un ingente castello per creare una struttura difensiva contro i barbari.
Di questa struttura oggi è possibile ammirare solo una torre, chiamata Torre Donà, visibile in città. Non mancano anche storie su fantasmi, lungo una delle vie del centro è possibile ammirare un palazzo dove, ogni tanto, attraverso una finestra che apre sulla porta della cantina del palazzo si intravede il viso di una suora, si ritiene che sia un’antenata che si lasciò morire nella stanza dove si era fatta rinchiudere.
Infine si è diffusa anche una leggenda su di una scommessa di molti anni fa, fatta da un uomo che volle trascorrere una notte al cimitero, la mattina successiva fu ritrovato morto con gli occhi sbarrati e sulla ghiaia si intravedeva una scritta poco leggibile tracciata dal morente per comunicare un segreto orribile.
La leggenda del Nodo d'Amore
Il signore di Milano Giangaleazzo, verso gli ultimi anni del Trecento, si stabilì con le sue truppe presso le truppe del fiume Mincio, durante la notte all’accampamento, il buffone Gonella, raccontò ai soldati una sinistra leggenda. I giullare narrò di come il fiume un tempo era popolato da meravigliose ninfe che uscivano la notte per ballare, ma a causa di una maledizione, si trasformavano in terribili streghe. Nella stessa notte, queste streghe comparvero all’accampamento e iniziarono a danzare tra le truppe dormienti, il capitano delle truppe Malco era sveglio e si alzò improvvisamente seguendo una di loro.
La strega seguita dal capitano perse il suo mantello e si mostrò nelle sembianze di una meravigliosa ninfa, Silvia. Si innamorarono giurandosi amore eterno e, prima di raggiungere il fiume, la ninfa diede al capitano un fazzoletto dorato come pegno d’amore. La sera seguente, in occasione dei festeggiamenti, Malco vide Silvia tra le danzatrici, si era avvicinata agli uomini per l’amore forte che provava nei suoi confronti.
Gli sguardi d’amore che si scambiavano i due attirarono l’attenzione di Isabella, una giovane dama che si era innamorata di Malco e denunciò la fanciulla come strega. Giunsero le guardie per arrestare Silvia ma il capitano facilitò la sua fuga, Malco venne imprigionato e in quella notte ricevette la visita di Isabella che gli chiese di perdonarla. Nello stesso istante comparve anche Silvia che mostrò come unica via di fuga all’amato le acque del fiume.
I due amanti raggiunsero il Mincio seguiti dalle guardie di Visconti, raggiunte in seguito dal signore di Milano. Questi trovò solo un fazzoletto di seta dorata intrecciato dagli amanti per sigillare il loro amore. Oggi il ricordo di questi amanti rievoca in una sottile pasta tirata come la seta e annodata come il fazzoletto, impreziosita con un ripieno delicato, in questo modo nasce il tortellino di Valeggio sul Mincio.
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